Estate 2022

Per l’ennesimo anno si parla di crisi idrica, di allarme siccità e di razionamenti d’acqua.

Non è la prima volta che si vedono foto come questa, raffigurante il Po come fosse un ruscello, e certamente non sarà l’ultima.

L’acqua, l’oro blu, di cui tanto si parla ogni estate, deve esser considerata un bene economico poichè presenta tutte le caratteristiche che ne definiscono uno: utilità, prezzo, scarsità, accessibilità.

Prima di guardare all’acqua con gli occhi da investitori però, soffermiamoci su quella che è la situazione mondiale attuale e i probabili scenari futuri.

Un bene primario non per tutti

Ciò che per noi italiani è praticamente scontato, non lo è per milioni di altre persone.

771 milioni di persone in tutto il mondo, 1 su 10, non hanno accesso diretto all’acqua. Il World Economic Forum stima che la crisi idrica sia il 5° rischio globale in termini di impatto sulla società, con conseguenze non trascurabili.

La prima di queste è quella sanitaria. 1,7 miliardi di abitanti del nostro pianeta, 1 su 4, non hanno accesso a servizi igienici e ogni anno 1 milione di persone, di cui oltre 250 mila bambini, muore a causa di malattie legate all’acqua o alle conseguenze della mancanza di acqua corrente. 2,3 miliardi di persone, un terzo a livello globale, non hanno la possibilità di lavarsi le mani con acqua e sapone.

L’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici contribuisce a migliorare la salute e aiuta a prevenire la diffusione di malattie infettive. riduce i tassi di mortalità materna e infantile.

Una seconda conseguenza è a livello sociale. Nelle aree dove l’accesso all’acqua non è diretto, sono soprattutto bambini e donne i responsabili della raccolta di acqua. Ciò porta via tempo alla scuola e ad altre attività produttive o alla cura della famiglia. È stato riscontrato che l’accesso ad acqua potabile e servizi igienici ha un diretto impatto positivo sulla frequenza scolastica e su altre attività ricreative, in particolare per le ragazze.

Le donne perdono numerose opportunità perché impegnate nella raccolta di acqua, evidenziando la terza conseguenza, quella economica. Si stima che il costo opportunità sia pari a 260 miliardi ogni anno; per fare un paragone, un valore pari alla capitalizzazione delle 10 maggiori aziende italiane quotate viene ogni anno persa a causa della mancanza di disponibilità diretta all’acqua e ai servizi igienici. L’accesso a questi servizi fondamentali trasformerebbe il tempo speso in tempo risparmiato, dando alle famiglie l’opportunità di perseguire istruzione e lavoro, aiutandole a rompere il ciclo della povertà.

Verso la siccità

Sebbene grazie alla tecnologia e all’urbanizzazione si stiano facendo numerosi passi avanti per migliorare l’accesso all’acqua, si ha un altro problema che sorge per questo bene primario: la crisi idrica.

Secondo un’analisi pubblicata dall’Aqueduct Water Risk Atlas del World Resources Institute quasi 1,8 miliardi di persone in diciassette paesi, ovvero un quarto della popolazione mondiale, sembrano virare verso una crisi idrica, con il potenziale di gravi carenze nei prossimi anni.

La mappa mostra il rischio idrico per ogni paese, come si può notare la crisi è concentrata particolarmente in medio oriente ed africa settentrionale. Anche l’Italia deve far fronte a questa minaccia crescente.

Il Qatar è il paese più a rischio per la scarsità d’acqua, dipende fortemente dai sistemi di desalinizzazione dei mari per fornire acqua potabile a persone e industrie.
Ciò che è preoccupante è la situazione dell’India, che si trova al 13° posto nell’elenco dei paesi a rischio idrico estremamente elevato ed ha una popolazione superiore a 3 volte quella degli altri 16 paesi in questa categoria messi insieme.

L’Italia

Nonostante il nostro paese sia tra i più ricchi d’acqua in Europa, grazie alle Alpi, l’Italia si trova al 44° posto di questa classifica e fa parte dei paesi ad alto rischio.

Secondo la Coldiretti, l’associazione che rappresenta gli agricoltori italiani, la crisi idrica minaccia il 30% della produzione agricola nazionale. E, tornando alla foto del Po, un grande fiume è essenziale anche per far funzionare infrastrutture importanti come le centrali idroelettriche.

I problemi del nostro paese legati all’acqua sono principalmente due: consumo eccessivo e cattiva gestione.

Ci giochiamo il primato in Europa e siamo tra i primi nel mondo per consumo pro capite di  acqua potabile. Ogni italiano consuma in media circa 220 litri al giorno.

Questo valore è in parte distorto dalla grande disponibilità di acqua potabile rispetto ad altre aree nel mondo, percui anche i litri utilizzati per lavare l’auto, ad esempio, vengono conteggiati nella somma totale, trattandosi di acqua potabile; ciò non toglie però che i consumi in Italia siano decisamente elevati, soprattutto se rapportati ad altri paesi sviluppati.

Mentre nel mondo manca l’acqua, da noi viene semplicemente gestita male.

Le statistiche dell’Istat hanno rivelato che il servizio di distribuzione dell’acqua potabile è caratterizzato da perdite in rete dell’ordine del 42%: ciò significa che per consumare 220 litri al giorno d’acqua, il prelievo pro capite è in realtà di 380 litri.

Essendo un territorio bagnato ampiamente dal mare, il nostro paese è potenzialmente ricco di questa risorsa, le nuove tecnologie di desalinizzazione ad esempio, permetterebbero di creare acqua potabile da quella marina.

Queste tecnologie sono già largamente utilizzate in paesi più poveri di acqua come il Medio Oriente, tuttavia in Italia non ne viene ancora fatto uso in larga scala. L’Italia oggi ha una produzione di acqua desalinizzata di appena il 4% rispetto al consumo totale, contro il 56% della Spagna o il 26% dell’Australia.

Il PNRR, ovvero il piano Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per rilanciare l’economia dopo il Covid-19, prevede che 4,38 miliardi di euro vengano destinati al combattere la crisi idrica italiana.

Nonostante sembra non essere sufficiente (è stato stimato che servirebbero circa 10 miliardi per risolvere le perdite idriche in Italia), è un grande passo avanti per migliorare le infrastrutture legate all’oro blu, e per sostenere le aziende del settore.

Investire nell’acqua

Nel 2018 è nato il primo indice di mercato sull’acqua, il Nasdaq Veles California Water Index, che traccia il prezzo spot in California di questa materia prima.

Tuttavia, per esporsi all’oro blu, le opportunità sono svariate perché altrettante sono le società connesse al settore idrico, operanti in diversi ambiti: purificazione, fornitura, trasporto, conservazione, infrastrutture.

Come investitori abbiamo l’opportunità di esporci a cluster di aziende tramite fondi, oppure tramite aziende singole.

Ecco i 4 ETF del settore disponibili a noi europei.

iShares Global Water UCITS ETF (IH2O)

Il più grande (e datato) ETF sull’acqua disponibile in Europa, a distribuzione, con AUM di €2 miliardi e lanciato nel 2007, ha costi di gestione (TER) di 0,65%.

Segue l’indice S&P Global Water, IH20 offre esposizione a 50 società in due attività legate all’acqua: servizi idrici e infrastrutture o attrezzature e materiali idrici.

I tre paesi con maggiore esposizione sono  USA (54%), UK (17%),  Svizzera (7%) e le aziende con peso maggiore sono American Water Works (servizi idrici), Xylem (tecnologie per l’acqua) e Ferguson plc (impianti idraulici).

L&G Clean Water UCITS ETF (GLUG)

Lanciato nel 2019, ad accumulo, offre esposizione a 56 titoli legati all’acqua distribuiti in maniera decisamente omogenea, con i costi di gestione più bassi tra i suoi pari europei: 0,49%. La dimensione dell’ETF è modesta, €330 milioni.

Seguendo l’ indice Solactive Clean Water, GLUG è esposto a società impegnate nel settore dell’acqua pulita attraverso la fornitura di tecnologia, ingegneria e servizi.

L’ETF ha esposizione maggiore in USA (62%), UK (9%) e Giappone (5%). I primi 3 titoli sono Metso Outotec Corporation (2,4%), Bentley systems  (2.2%), Core & Main (2.2%)

Lyxor MSCI Water ESG Filtered UCITS ETF (WATU)

Questo è l’ETF sull’acqua con il paniere più ridotto, 35 titoli con i primi 10 titoli che occupano il 54% del fondo. I costi di gestione sono abbastanza elevati, 0,60%. La dimensione è considerevole, € 1,3 miliardi.

WATU segue un indice ESG, filtrando le aziende all’interno anche a seconda di criteri ambientali, sociali e di governance.

L’ETF di Lyxor è quello con la minor esposizione agli Stati Uniti (46,16%), seguono UK (26,41%) e Svizzera e Francia con il 6,5%. I primi 3 titoli sono Waste Management, American Water Works (entrambe statunitensi) e Veolia (francese).

Global X Clean Water UCITS ETF (AQWA)

Sbarcato a Dicembre 2021 è il fondo sull’acqua più giovane in Europa e di conseguenza ha AUM ridotto (€ 1 milione). Costi del 0,50% annui.

Ha 39 titoli in paniere, pesati per capitalizzazione. Per essere incluse, le aziende devono generare almeno il 50% dei loro ricavi da attività di acqua pulita e soddisfare determinati requisiti ESG.

È fortemente esposto agli USA (64%), a seguire UK (17%) e Giappone, Cina, Hong Kong con 3,5% ciascuna. È l’ETF più concentrato, i primi 10 titoli pesano per il 61%, Xylem (9%), American Water Works (8.7%) Essential Utilities (8.5%)

Riepilogo

In questa prima tabella vi mostriamo la percentuale di overlap tra i diversi ETF, ovvero quanto i fondi sono simili tra loro in funzione delle posizioni in portafoglio.

TickerAQWAGLUGIH2OWATU
AQWA62%66%51%
GLUG62%67%55%
IH2O66%67%66%
WATU51%55%66%

Questa invece è una panoramica sui dati più rilevanti dei 4 ETF

DimensioneTERNumero di titoliPeso top 10 titoliDistribuzione / accumuloDisponibilità broker
iShares Global Water€ 2 miliardi0,65%5055,1%DistribuzioneDegiro, Interactive Brokers
L&G Clean Water€ 330 milioni0,49%5621,6%AccumuloDegiro, Interactive Brokers
Lyxor MSCI Water ESG Filtered€ 1,3 miliardi0,60%3554,4%DistribuzioneInteractive Brokers
Global X Clean Water€ 1 milione0,50%3961,2%AccumuloInteractive Brokers

In chiusura

Quello dell’acqua e della sua scarsità è un argomento estremamente interessante da approfondire, sia a livello sociale ed economico oltre che dal punto di vista degli investimenti.

Ci auguriamo chiaramente che tutti noi possiamo sensibilizzarci maggiormente a questo tema, che rischia di divenire preponderante negli anni a venire.

Ad ogni modo, essendo investitori, abbiamo volto uno sguardo al potenziale di questo bene primario. Con la necessità di investimenti futuri e ingenti capitali necessari per contrastare la crisi idrica globale, crediamo che l’oro blu e le aziende legate ad esso possano diventare un asset comune all’interno dei portafogli d’investimento.